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Reportage

“La natura è il nostro cliente più esigente”: Marc Leclerc, il veterinario delle tartarughe ferite del Mediterraneo

CC-31 est une tortue caouanne, pensionnaire du CRFS depuis la mi-avril 2025 © Benjamin Godart - Monaco Tribune
CC-31 è una tartaruga caretta caretta, ospite del CRFS da metà aprile 2025 © Benjamin Godart – Monaco Tribune

A pochi passi dalla costa mediterranea, c’è un luogo discreto dove ogni giorno si combatte una battaglia silenziosa ma fondamentale: quella per la riabilitazione delle tartarughe marine. Incontriamo Marc Leclerc, veterinario impegnato al fianco dell’associazione Émergence.

Polo bianca ben stirata, orologio al polso, pelle appena dorata dal sole, Marc Leclerc ci accoglie con un gran sorriso e una stretta di mano, entusiasta di presentarci CC-31, la tartaruga in convalescenza di cui si sta occupando in questo periodo.

Nascosto tra i pini dietro Posidonia – lo Spazio Mare e Litorale in fondo a Cap d’Antibes – il Centro di Riabilitazione della Fauna Selvatica (CRFS) ospita pazienti decisamente particolari. Sidonie Catteau, biologa e direttrice dell’associazione Émergence, gestisce il centro in stretta collaborazione con Marc: insieme raccolgono, curano, riabilitano e rilasciano in mare tartarughe in difficoltà trovate lungo le coste mediterranee.

Il lavoro di Marc e quello di Sidonie, biologa, permettono di affinare le diagnosi e di comprendere meglio le diverse cause delle lesioni © Benjamin Godart - Monaco Tribune
Il lavoro di Marc e quello di Sidonie, biologa, permettono di affinare le diagnosi e di comprendere meglio le diverse cause delle lesioni © Benjamin Godart – Monaco Tribune

CC-31, la tartaruga caretta caretta

In una grande stanza piastrellata, immersa in una delle tre vasche di degenza, CC-31 sonnecchia tranquilla appena sotto la superficie dell’acqua. Non è un prototipo di tartaruga bionica, ma una vera caretta caretta. «Il nome scientifico è Caretta caretta, da qui le iniziali CC e il numero che ci serve per identificarle. In questo caso, è la nostra trentunesima paziente, ed è già la seconda volta che passa da noi. Pensiamo che stavolta sia stata colpita da un’imbarcazione», spiega Marc, che viene almeno una volta alla settimana per seguirla da vicino.

Arrivata al centro il 16 aprile, la giovane tartaruga porta ancora i segni evidenti dell’incidente. Il carapace è incavato in più punti, lasciando esposti tessuti infetti che faticano a cicatrizzare. Una delle pinne anteriori è quasi immobile. Come se non bastasse, gli occhi restano chiusi a causa di una cheratite, un’infiammazione della cornea.

Il guscio delle tartarughe ha una struttura simile a quella del cranio umano. Al tempo stesso solido e molto fragile, protegge i polmoni e i visceri flessibili della tartaruga © Benjamin Godart - Monaco Tribune
Il guscio delle tartarughe ha una struttura simile a quella del cranio umano. Al tempo stesso solido e molto fragile, protegge i polmoni e i visceri flessibili della tartaruga © Benjamin Godart – Monaco Tribune

Ferite evidenti e diagnosi complesse

«Quando l’abbiamo accolta, era in condizioni critiche: non si alimentava, aveva le pinne posteriori paralizzate, una lesione alla colonna vertebrale e un terzo del midollo spinale compromesso», ricorda Marc. «Per evitare di manipolarle il collo, le abbiamo inserito una sonda per alimentarla. Da quando l’abbiamo messa, ha ricominciato a prendere peso.»

Pezzi di lattine, cavatappi e tappi di sughero sono i detriti più frequenti nello stomaco delle tartarughe © Benjamin Godart - Monaco Tribune
Pezzi di lattine, cavatappi e tappi di sughero sono i detriti più frequenti ritrovati nello stomaco delle tartarughe © Benjamin Godart – Monaco Tribune

La pesata di oggi segna 9,7 kg, un buon segnale per una tartaruga ancora in fase giovanile, secondo Sidonie. Sdraiata sul tavolo da visita, CC-31 si lascia maneggiare docilmente da Marc e si prepara alla sua cura settimanale. «Le ferite più frequenti sono purtroppo causate dall’uomo: collisioni con scafi o eliche, ingestione o intrappolamento nei rifiuti. Nei loro stomaci troviamo di tutto: pezzi di plastica, elastici per capelli, tappi…», spiega la biologa. «Classifichiamo questi residui con un protocollo europeo preciso, in base a dimensione e colore.» Per Marc, questi rifiuti aumentano il rischio di incidenti: «La plastica ostruisce l’apparato digerente, causa gas e impedisce alla tartaruga di immergersi. Così resta in superficie, dove rischia di essere travolta.»

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Marc è veterinario presso la clinica Ric e Rac © Benjamin Godart – Monaco Tribune

Cure veterinarie, ma senza addomesticare

Dopo aver lavato delicatamente la tartaruga con acqua saponata per prevenire infezioni batteriche e applicato un gel disinfettante, Marc valuta la mobilità degli arti, elencando le diagnosi con precisione. Poi passa al trattamento laser, utile per stimolare la cicatrizzazione e alleviare il dolore. «Questa tartaruga è l’esempio perfetto del perché dobbiamo dare una possibilità a tutte: le sue ferite stanno guarendo in fretta. Ci ricorda quanto sia forte la natura».

Ma oltre alle ferite fisiche, c’è anche il rischio legato all’interazione con l’uomo. «Cerchiamo di essere il più distaccati possibile. Alcune tartarughe sembrano riconoscerci, altre si agitano appena ci vedono. Però una volta rilasciate, tornano tutte al loro istinto selvatico».

Un impegno a 360°

Da quando è arrivato al centro, Marc ha seguito 18 tartarughe. Due non ce l’hanno fatta. «Ogni perdita pesa, ma sono una minoranza. Spesso non sappiamo da quanto tempo soffrivano prima di arrivare da noi». Ogni tartaruga ha la sua storia, ma alcune restano impresse.

Come quella di Nicea, una tartaruga salvata in extremis grazie all’intervento di Arnaud, un pescatore locale. «Non respirava più da ore. Quando l’abbiamo intubata, sono usciti 250 ml d’acqua dai polmoni. Abbiamo passato otto ore in rianimazione prima di rivederla nuotare.»

Altre storie sono tragiche. Come quella di una tartaruga di 62 chili, la più grande mai accolta dal centro, morta quattro giorni dopo un intervento. «Aveva ingerito una razza. Gli aculei si erano conficcati nella lingua e nell’esofago. Un caso mai documentato. Quando abbiamo estratto il secondo aculeo, qualcosa è cambiato nell’aria. Una tensione inspiegabile. Tutti piangevano. Anch’io.»

Qui le tartarughe sono chiamate «pazienti». Un termine medico che assume un valore profondo: «Questi animali non hanno proprietari. Il loro unico genitore è la natura. Ed è il nostro cliente più esigente. Ci nutre, ci fa respirare… ma non ci rimprovera mai nulla.»

Monaco, pioniera delle Aree Marine Protette (AMP) urbane

Marc Leclerc non lo nasconde: per proteggere davvero queste specie servono sia l’impegno che i fondi. «I mecenati e i donatori ci permettono di avere strumenti avanzati, più personale, più tempo. È questo che fa la differenza.» Ringrazia eventi come il BEFF di Monaco e le iniziative della Fondazione Principe Alberto II. «Anche se non è tutto perfetto, questi eventi sono tappe fondamentali. Non possiamo limitarci a criticare. Dobbiamo agire. La responsabilità è collettiva».

Come Unoc e Nicea, le due tartarughe rilasciate e battezzate in onore della conferenza delle Nazioni Unite sugli oceani dello scorso giugno, anche CC-31 riceverà un nome il giorno in cui potrà tornare a nuotare libera in mare aperto.