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Inchiesta

Residenti e rifugiate… Le donne ucraine di Monaco raccontano la loro storia

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Tetiana, Nataliya, Larissa e Zhanna hanno tutte vissuto la guerra in modi diversi, ma condividono lo stesso trauma.

Tetiana e Nataliya: fuggire dalla guerra a tutti i costi

Con un braccialetto intrecciato giallo e blu al polso, Tetiana serve un caffè a Nataliya. Amiche di lunga data e originarie di Kiev, la prima è residente a Monaco e lavora come promotrice della carta “My Monte-Carlo” per la Société des Bains de Mer. Nataliya, invece, lavora come Business developper per una società di Kiev. A vederle comportarsi e conversare normalmente, viene difficile immaginare che entrambe abbiano vissuto un’esperienza terribile che non avrebbero mai pensato di fare: fuggire dalla guerra.

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Nataliya e Tetiana a una manifestazione a Nizza per sostenere l’Ucraina – DR

Mi sembrava di essere in un film di Spielberg

Tetiana

I primi bombardamenti

Tutto inizia il 17 febbraio. Anche se in Ucraina si vocifera che la Russia si stia pericolosamente avvicinando, nessuno immagina un imminente conflitto di tale portata. Tetiana, infatti, decide di partire dalla Costa Azzurra per fare visita ai suoi genitori, entrambi malati di Covid-19.

“Sono andata a prendermi cura di loro, per fortuna non avevano sintomi troppo gravi “, racconta la donna. “Avevo il biglietto di ritorno per il 24”. Ma purtroppo accade il peggio: il 24 febbraio è la data che segna l’inizio del conflitto armato. “I miei figli vivono in Canada. Grazie al fuso orario, sono venuti a sapere cosa stava succedendo prima di me. Mi hanno chiamata, erano le sei del mattino. Erano molto preoccupati. Dalla finestra vedevo le persone che correvano con le valigie”.

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Nataliya, invece, viene svegliata dalle sirene, che cominciano a suonare in città alle 5:45. Ma sul momento non si fa prendere dal panico: “il sindaco di Kiev ci aveva avvertito che ci sarebbero state spesso esercitazioni. Non ho capito subito cosa stesse succedendo”. Poche ore dopo, riceve un’e-mail dal suo datore di lavoro: devono restare tutti in casa.

Per le due giovani lo shock è violentissimo. Tetiana non realizza subito che il suo volo di ritorno potrebbe essere annullato: “nella mia testa era impensabile. Mi sono detta: “Vado all’aeroporto, ho il volo il 24, così torno a casa! “. Ma per fortuna Nataliya riesce a dissuaderla: l’aeroporto infatti viene subito bombardato dalle forze russe.

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Bisogna agire in fretta. Nataliya pensa subito a sua madre e alla cura che sta seguendo, così esce di corsa per comprare le medicine che le serviranno. Trova solo due farmacie aperte e le code sul marciapiede sono infinite.

Stessa cosa per Tetiana, che decide di andare a fare la spesa. Le porte sono ancora chiuse, ma c’è già folla. “A quel punto non ragionavamo più, eravamo in modalità pilota automatico. Non sapevo nemmeno cosa comprare… mi sembrava di essere in un film di Spielberg”, ci confida.

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In pochissimo tempo, la città si trasforma effettivamente nel set di un film di guerra. Le due donne sentono i bombardamenti in lontananza, fotografano i carri armati russi che sfilano e gli edifici distrutti. Bisogna partire e farlo in fretta. Ma come? L’aeroporto non esiste più e fuggire in auto è troppo pericoloso per i combattimenti nelle vicinanze e per il rischio di proiettili vaganti. Rimane solo una soluzione: il treno.

Sussultavamo quando sentivamo le sirene o le persone che bussavano forte alle porte

Nataliya

Direzione sconosciuta

Nataliya vive vicino alla stazione: la vede affollata, presa d’assalto da ucraini in preda al panico. Ne parla a Tetiana. Sebbene all’inizio sia riluttante, deve fare i conti con la situazione. Dopo alcuni giorni, trascorsi chiusi nel bagno, dove avevano posizionato i letti, il 1° marzo decidono di recarsi alla stazione.

Tetiana ci mostra le foto che ha sul telefono. Le immagini sembrano uscite dalla Seconda Guerra mondiale: sul binario affollato, i genitori sollevano i figli sulla testa per cercare di farli salire per primi sui vagoni. Alcuni litigano, colpendo persino Tetiana sul viso, altri svuotano le valigie per terra: i bagagli grandi sono vietati. “Ci dicevano: “O la valigia o un bambino”.

Entrambe riescono finalmente a salire sul treno. Nataliya ha portato con sé anche sua madre, il cane e il gatto. Tetiana, invece, ha dovuto lasciare i suoi genitori, che non volevano andarsene.

Ma non appena salgono sul treno, le due donne realizzano di non avere alcuna idea di dove siano dirette. E non sono le uniche: chiedono agli altri passeggeri, domandano ad alta voce, interpellano il controllore. Nessuno sa dove sia diretto il treno. L’unica cosa che conta in quel momento è partire.

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I passeggeri sono stipati uno sopra l’altro, dormono persino nei corridoi. Dopo 24 ore di viaggio, arrivano finalmente a destinazione: Budapest, in Ungheria. Il marito di Tetiana, preoccupato all’inverosimile, gli prenota una stanza d’albergo e un aereo per Parigi. Anche se si sono lasciate l’orrore alle spalle, la paura non le ha abbandonate.

“Sussultavamo quando sentivamo le sirene della polizia o le persone che bussavano forte alle porte. Mia madre teneva le persiane chiuse”, ricorda Nataliya. Ma una volta a Parigi, si presenta un’altra sfida: Tetiana è residente a Monaco, ma Nataliya è ora una rifugiata, senza famiglia né casa in Francia.

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DR

Tutta la mia vita è in un bagaglio a mano

Nataliya

Ripartire da zero

L’appartamento di Tetiana è troppo piccolo per ospitare altre due persone e due animali, ma lasciare la sua amica a sé stessa è fuori questione. Usa così tutti i mezzi a sua disposizione: social, amici, colleghi… Ed è proprio una collega della SBM, proprietaria di un appartamento vuoto a Nizza, che accetta di ospitare Nataliya e sua madre.

“Mi sono davvero commossa nel vedere quanto la Francia e Monaco stessero facendo per aiutare l’Ucraina”, racconta Nataliya emozionata. “In tanti erano pronti ad accoglierci, ho ricevuto molti messaggi da sconosciuti che hanno accettato di ospitarci. Una madre si era persino offerta di far dormire la figlia con lei per lasciarci la sua stanza”.

Da allora, le due donne, ancora traumatizzate, hanno cercato di riprendere la loro vita. Nataliya, però, ha dovuto ricominciare da zero: “Tutta la mia vita è in un bagaglio a mano. Non so nemmeno se il mio appartamento a Kiev c’è ancora o se è stato bombardato. Mi sono iscritta al Pôle Emploi, devo cercare un nuovo lavoro… La vita non si ferma”.

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Tetiana vive ormai in simbiosi con il suo telefono. “Mi sveglio e guardo subito i messaggi. I miei genitori sono ancora lì, non possono nemmeno scendere al rifugio in caso di bombardamento. È stato difficile, ma sono riuscita a trovare qualcuno che si prendesse cura di loro e gli preparasse da mangiare. Li chiamo tutti i giorni”.

Una situazione da incubo che porta con sé un terribile senso di colpa: “Come possiamo goderci la vita sapendo che i nostri cari stanno soffrendo? Abbiamo fatto di tutto per lasciare l’Ucraina, ma ora che siamo qui, pensiamo che non dovremmo esserci… fingere che non sia successo niente, andare al ristorante o a bere qualcosa…”.

Ora, però, è il momento di ripartire e cercare di tornare a una vita il più normale possibile.

Larissa: lasciarsi la propria vita alle spalle

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In fuga dalla guerra, per la seconda volta. Larissa, una rifugiata ucraina ora residente a Nizza, ricorda il giorno in cui la sua vita è cambiata. È martedì 8 marzo, Larissa sale su un autobus in partenza da Kiev con la figlia di dieci anni in braccio. Suo marito e suo figlio di 22 anni devono restare per difendere il loro paese.

“Non volevo andarmene “, spiega. “Siamo già dovuti fuggire da Sievierodonetsk nel 2014 per trasferirci a Kiev a causa dei conflitti e dei bombardamenti. Ci siamo rimasti otto anni e ci siamo ritrovati nuovamente bombardati. Ci eravamo trasferiti per trovare un posto sicuro… Dopo questa terribile esperienza, mio marito e mio figlio mi hanno convinto a prendere nostra figlia e ad attraversare il confine”.

Una vecchia amica, che ha lasciato l’Ucraina nel 2014, organizza il tutto. Larissa e sua figlia prendono un autobus da Kiev diretto a Nizza, città in cui vive l’amica. Inizia quindi un viaggio estenuante di due giorni e mezzo in cui donne e bambini fuggono dal paese.

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Quando sono iniziati i bombardamenti, abbiamo avuto solo un’ora e mezza per fare le valigie

Imparare a convivere

Larissa e sua figlia abitano con quest’amica ucraina per un po’, prima di essere ospitate da una famiglia volontaria a Nizza. Da più di una settimana condividono la vita quotidiana con una coppia, i loro due figli e il loro cane. Una convivenza che, per il momento, sta andando a gonfie vele: “Sono rimasta molto sorpresa dall’accoglienza calorosa della Francia. Quando arrivi in un paese nuovo non conosci niente, non puoi fare niente, ma ad ogni passo che fai c’è qualcuno che ti aiuta. (…) Vedere la solidarietà delle persone preoccupate per la tua situazione come se fosse la loro non ha prezzo. Sono stati in molti ad aiutarci, soprattutto con l’amministrazione o con la barriera linguistica”.

Non parlando francese, e pochissimo inglese, riesce a comunicare con la sua famiglia ospitante grazie alla madre, di origine polacca, che parla correntemente il russo. In questa nuova casa, Larissa e sua figlia hanno la loro camera da letto e la loro privacy. Nonostante tutto, la vita in famiglia si svolge in semplicità: “al mattino ognuno fa le sue cose. La sera ci incontriamo tutti insieme per la cena. Sono molto gentili, mostrano molta compassione nei nostri confronti”.

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Ma nonostante il caloroso benvenuto, Larissa non riesce a smettere di pensare a ciò che ha lasciato. Ricorda commossa il momento in cui ha dovuto lasciarsi tutto alle spalle: “Quando sono iniziati i bombardamenti, abbiamo avuto solo un’ora e mezza per fare le valigie (…) È una casa molto bella, e una stanza molto bella, ma mi manca casa mia, mi manca guidare la mia macchina, indossare i miei vestiti…”, racconta Larissa, aggiungendo che a maggio dovranno lasciare l’alloggio, perché la famiglia dovrà ospitare dei parenti.

Mia figlia mi ha chiesto: “Mamma, cosa abbiamo fatto di sbagliato? Perché volevano ucciderci?”

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Mantenere il legame

Nel frattempo, per Larissa, la parte più difficile resta dialogare con la figlia. La piccola Violanta aveva solo tre anni al momento del primo trasloco, e non si rendeva davvero conto della situazione, oggi invece ne ha dieci. “Il primo giorno, non ha detto niente. Mi ha solo guardato negli occhi, provava le mie stesse emozioni ma non ha fatto alcuna domanda. Fino al giorno in cui mi ha chiesto: “Mamma, cosa abbiamo fatto di sbagliato? Perché volevano ucciderci?” È già difficile spiegarlo a un adulto, figuriamoci a un bambino”.

Larissa vuole proteggere la figlia più di ogni altra cosa: “La maggior parte delle informazioni che riceviamo provengono dai nostri amici o parenti che sono rimasti lì, niente telegiornali. (…) Il mio unico obiettivo oggi è proteggere mia figlia dall’odio

La bambina ha appena iniziato a frequentare una scuola a Nizza. Anche se un po’ in ansia all’inizio, è stata accolta molto bene. “Sono sicura che andrà tutto bene, ci sono altri bambini ucraini iscritti. Gli altri parleranno la lingua del cuore”.

Dal canto suo, Larissa cerca il più possibile di mantenere il legame con i suoi parenti rimasti in Ucraina. Suo marito e suo figlio, ovviamente, ma anche sua madre, che si è rifiutata di fuggire dal suo paese natale fino all’ultimo momento. “Era stanca di scappare “, si rammarica. “Ma quando è rimasta senza acqua, cibo ed elettricità, se n’è andata e ora vive nell’Ucraina occidentale. È come una roulette russa: qualsiasi casa, in qualsiasi città, può essere colpita dall’oggi al domani”.

Anche se ora si sente al sicuro, l’ansia non la abbandona, così come il senso di colpa. “Spero di tornare a casa un giorno, amo il mio paese, voglio tornarci… Stare con la mia famiglia, fare una vita normale, andare al lavoro la mattina… Non ci rendiamo conto di quanto sia preziosa questa vita. (…) Niente giustifica uccidere le persone, i bambini non dovrebbero soffrire così”.

Larissa ora spera in un miracolo e sogna il giorno in cui verrà finalmente dichiarata la pace.

Zhanna: vivere il conflitto a distanza

Sono dieci anni ormai che Zhanna Pikhulya vive e lavora a Monaco in un’agenzia immobiliare. Dieci anni che torna nella sua Ucraina solo per vedere il padre, in una piccola città a 300 chilometri a est di Kiev. È bastata una notte perché cambiasse tutto.

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“È stata una mattina orribile”, racconta. Il 24 febbraio mi sono svegliata e come al solito ho guardato il mare fuori dalla finestra. Era di uno colore strano quel giorno. Non era blu, ma piuttosto grigio. Come se qualcosa non andasse. E quando ho guardato il telefono, ho visto 60 messaggi e chiamate perse. Ho subito capito che stava succedendo qualcosa di terribile. Mio padre mi aveva chiamata alle tre del mattino, e anche mia sorella, che vive a Los Angeles e ha il fuso orario. È stato terribile, terribile. Sono stata al telefono tutto il giorno”.

Chi è fuggito ha visto cose terrificanti

Lo shock dell’annuncio

Come i suoi compatrioti, Zhanna ha ricevuto un duro colpo quel giorno: “Pensavo avessimo imparato qualcosa dalla Seconda Guerra mondiale. Non avrei mai pensato che un giorno avrei sperimentato la guerra. Non ci ho creduto fino all’ultimo momento, anche se facevano speculazioni, soprattutto i media. Ho pensato che stessero esagerando. Credevamo che ci sarebbe stato solo un piccolo conflitto a est, ma mai a Kiev o nel resto dell’Ucraina. Lo shock è immenso”.

In quel momento conta solo una cosa: trasferire suo padre. Ma fuggire dall’Ucraina si rivela ogni giorno più difficile. “È estremamente pericoloso: l’esercito russo spara contro le auto dei civili. È come una roulette russa, il rischio è altissimo”, spiega Zhanna. Dall’inizio della guerra, ha ascoltato le storie di chi è riuscito a fuggire al confine rischiando la vita. “Non puoi parlare della guerra finché non l’hai vissuta… Chi è fuggito ha visto cose terrificanti”.

Penso che questa sia un’opportunità unica per l’Ucraina di sbarazzarsi dell’influenza russa

Mobilitarsi nonostante la distanza

Per fortuna il padre di Zhanna e il suo cane riescono a raggiungere il confine e in poche settimane Monaco, dove ora risiedono: “Sono davvero felice e sollevata. Bisogna capire che chi oggi fugge dall’Ucraina è costretto a farlo per sopravvivere. Sono costretti a lasciare le loro case, i loro cari, il lavoro… Ecco perché molti vogliono tornarci, anche solo per vedere se casa loro c’è ancora”.

Oggi, Zhanna cerca di aiutare più che può. In particolare, ha preso parte alle raccolte di beni alimentari organizzate presso l’Hotel Marriott di Cap d’Ail. Ed è con grande commozione che ha assistito al coinvolgimento del Principato nel sostenere la causa ucraina: “È stato meraviglioso assistere a tutte queste iniziative di aiuto, come la raccolta davanti al Carrefour di Fontvieille , per esempio”.

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Ma soprattutto cerca di guardare al futuro, al giorno in cui la guerra sarà finalmente conclusa e il Paese dovrà essere ricostruito. Secondo lei, a parte la guerra, potrebbe essere una cosa buona: “Penso che questa sia un’opportunità unica per l’Ucraina di sbarazzarsi dell’influenza russa. Quando l’URSS è crollata, l’Ucraina non ha avuto alcuna possibilità. Il Paese si è ritrovato a essere controllato. Penso che quando la guerra sarà finita, tutto andrà meglio per il Paese… o almeno lo spero”.

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