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Inchiesta

I cambiamenti climatici potrebbero cambiare il futuro del vino

Foto Domaine credits Jean Luc Armand (1)
Foto Domaine credits Jean Luc Armand (1)

Nell’era dei cambiamenti climatici, il caldo e la siccità potrebbero essere una minaccia a lungo termine per i vigneti della Costa Azzurra. Con un aumento della temperatura nella regione di 0,3°C ogni dieci anni, il dipartimento delle Haut-Alpes potrebbe presto diventare il paradiso dei viticoltori! Il grand cru di domani potrebbe essere coltivato proprio in queste terre…

Incastonato tra le colline nizzarde, lo Château de Bellet e i suoi vitigni prosperano tutt’oggi avvolti dalle brezze marine del Mediterraneo e dalle lontane influenze alpine. Come molte aziende vinicole della Costa Azzurra, i tredici ettari della proprietà sono di recente stati colpiti da intensi periodi di siccità. Anomalie del clima che potrebbero, a lungo termina, minacciare la qualità dei famosi vini della regione. “Alcune aziende vinicole vicine si sono già attrezzate per irrigare le vigne”, afferma Ophélie Guinard, responsabile dello Château de Bellet, che al momento non ha investito in “queste costose istallazioni”. Tuttavia, il timore di perdere un’altra volta il 30% della produzione si fa sentire, come già successo nel 2017, “un’annata particolarmente arida”.

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È la qualità del vino che rischia di essere compromessa

Château de Bellet Vini di Nizza
Château de Bellet

L’anticipo della vendemmia

“Le vendemmie, che prima iniziavano a metà settembre, a volte possono cominciare molto prima, già dalla fine di agosto”, spiega Ophélie Guinard che ha avuto modo di osservare i cambiamenti nel corso degli ultimi dieci anni. “In generale, i periodi per raccogliere l’uva sono sempre più brevi. Siamo passati dai sei mesi alle tre settimane, ma sempre con lo stesso carico di lavoro. Siamo degli atleti!

“Ma anche se l’uva ha la capacità di adattarsi alle nuove condizioni climatiche, la qualità del vino, invece, rischia di risentirne e potrebbe non attirare più così tanto i consumatori” precisa Iñaki Garcia de Cortazar, direttore del reparto agroclimatico del centro Inrae di Avignone. Lo scienziato afferma che l’aumento continuo delle temperature, anche di notte, potrebbe modificare considerevolmente la composizione degli acini d’uva, e quindi la qualità del vino.

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Creare nuove varietà più resistenti

Secondo lo scienziato, elaborare nuove varietà di viti più resistenti è una soluzione ancora lontana, che può facilmente richiedere una decina d’anni, senza contare il periodo di promozione di queste nuove piante presso i produttori. “Esistono altre soluzioni”, ricorda il ricercatore, “è possibile selezionare delle viti più resistenti all’interno della stessa varietà, valorizzare antiche varietà di viti autoctone ormai abbandonate a livello locale, coltivare all’interno delle serre, oppure prendere in considerazione l’idea di piantare le varietà delle regioni più calde sulla Costa azzurra, come le uve italiane o quelle greche”.

I vini dell’arco alpino attirano un numero crescente di consumatori

Un paradiso alpino

Alcune regioni che poco si prestavano alla viticultura, potrebbero invece iniziare a produrre i grand cru di domani. “La produzioni di vino nelle zone settentrionali e montuose della Francia è migliorata negli ultimi vent’anni”, conclude Iñaki Garcia de Cortazar.

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Immersa tra le pendici delle alpi della Durance, l’azienda vinicola Le domaine Allemande ne è un esempio lampante. Qui, l’altitudine raggiunge i 700 metri e i vigneti beneficiano di un’ampia escursione termica tipica delle regioni di montagna: “giornate soleggiate e notti fresche”, riassume Laetitia Allemand, che ha rilevato l’azienda di famiglia nel 2017: un vigneto creato da suo nonno negli anni ’50. Tra l’uva chardonnay, oggi cresce una famosa varietà locale, abbandonata alla fine del secolo scorso: il mollard, che letteralmente in francese vuol dire “collinetta”.

Laetitia Allemand enologa
Laetitia Allemand

La rinascita di una varietà dimenticata

Negli anni ’80, i viticoltori delle Haut-Alpes spesso sradicavano le viti di mollard per sostituirle con le varietà internazionali, come il cabernet o il merlot. Ormai, non resta che qualche vite, spesso anche malata, in alcune aziende vinicole. “Con l’andare del tempo, il mollard avrebbe potuto scomparire nel giro di cinquant’anni”, spiega l’enologa, “ma mio padre è riuscito a salvare questa specie vegetale, dopo aver passato una decina d’anni a selezionare i migliori esemplari di questa varietà autoctona con una coltivazione sperimentale, a fianco dell’Istituto Francese della vigna e del vino (IFV)”.

Destino straordinario quello del mollard, che sembra riuscire ad adattarsi al meglio ai cambiamenti climatici. “La sua fioritura tardiva gli permette di evitare le gelate della primavera, al contrario della nostra varietà chardonnay che si risveglia prima”, afferma entusiasta Laetitia Allemand. L’aumento delle temperature ha persino agevolato il mollard, provocando un aumento della quantità di zucchero presente negli acini e attenuandone l’acidità. “Oggi, i vini dell’arco alpino attirano un numero crescente di consumatori, amanti dei vini meno alcolici!”.

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